Grafia dei testi mediolatini

ALIM presenta i testi nelle forme che sono attestate nelle edizioni utilizzate come ‘fonte’ del testo elettronico, rispettando le scelte grafiche operate dai singoli curatori. Di conseguenza, potranno trovarsi le medesime parole scritte con una forma diversa sia in testi diversi sia persino entro il medesimo testo. Questo è il risultato della convergenza fra le consuetudini editoriali moderne e l’uso grafico del medioevo, dove la grafia non era stabilizzata – come, d’altra parte, non lo era nel latino ‘classico’ - in forme esemplari ed immutabili, sicuramente riproducibili, ma presentava un margine più o meno ampio di variabilità a seconda delle epoche, degli ambienti, della cultura degli scriventi. In pratica, tutte le varianti grafiche sono possibili ed il loro mantenimento nel testo rispetta il significato storico, culturale ed anche stilistico che talvolta la variante grafica può assumere.
Le possibilità di interrogazione dei testi di questo Archivio non consentono il reperimento automatico delle forme varianti di una parola. Si è ritenuto pertanto opportuno indicare alcune regole fondamentali di modificazioni della grafia, fatto conto dell’età dei testi che qui sono registrati, tutti inscrivibili in un periodo in cui, a seguito della restaurazione della grafia del latino voluta da Carlomagno, le varianti grafiche sono limitate quanto a numero di presenze e tendenzialmente ripetitive quanto a fenomenologia, perché non più sottoposte (o sottoposte in minima misura) all'influenza della lingua parlata.
La ristretta casistica che si offre di séguito evidenzia le varianti dell'uso grafico che si incontrano con maggiore frequenza nei testi contenuti nell'Archivio (il segno > significa ‘diviene’, ‘è divenuto’).


1. Alterazioni della grafia vocalica
à e a rimangono in genere intatte.
i
>e, e>i (Es.: quatenus>quatinus;  nomine>nomene);
u
>o, o>u (Es.: mundum>mondum; consules>consoles; diabolus>diabulus);
y
>i, i>y (Es.: lympha>limpha; sidera>sydera; idoneus>ydoneus).
I dittonghi ae, oe vengono scritti pressoché dovunque con la semplice e; in qualche caso il dittongo è rappresentato con una e cedigliata. Nel periodo in cui il dittongo ae è in uso (fra IX e XI secolo), l’incertezza del suo impiego induce i copisti a grafie ipercorrette, ad es. praecipuae, aecclesia (qualche incertezza permane ancora nei secoli successivi). I dittonghi sono, talora, arbitrariamente ristabiliti in alcune edizioni, soprattutto di testi filosofici.
Il dittongo au è talora ridotto ad a in augustus>agustus; più frequentemente in auctor> actor.

2. Alterazioni della grafia consonantica
d>t e t>d soprattutto in posizione finale (Es.: at>ad; ad>at; inquit>inqui; caput>capud);
p
>b e b>p (Es.: obtulit>optulit; optimates>obtimates);
m> n
(Es.: membrum>menbrum);
r>l
(Es.: pruritu>pluritu);
ph>f, f>ph
(Es.: philosophia>filosophia; horphanos>horfanos; profanus>prophanus);
j>
g (Es.: maiestas>magestas);
x
>s, ss, xs (Es.: iuxta>iusta; exercitus>esercitus, essercitus, exsercitus; exemplum>esemplum, essemplum, exsemplum);
ca>ka
(Es.: caritas>karitas; capaciter>kapaciter);
ci>ti, ti>ci
(Es.: etiam>eciam, pretium>precium; delicie>delitie; Grecia>Gretia; facio>fatio);
ct>-tt, -tt>ct
(Es.: amictus>amittus; mitto>micto);
qu>c, c>qu
(Es.: antiquum>anticum; locutus>loqutus). Dopo q non si ha necessariamente vocale doppia: Es.: equum>equm;
nct>nt
(Es.: sanctus>santus);
mn>mpn
: la tendenza ad assimilare il gruppo mn porta all’inserimento di una p epentetica, al fine di mantenere distinta la pronuncia di m e n, e quindi alla grafia mpn, che diviene quasi una costante in parole come dampnare, condempnatio, columpna;
ps>s
(Es.: psalmus>salmus);
sc>s
, s>sc: con maggiore frequenza quando gli amanuensi siano di origine italiana settentrionale (Es.: scio>sio; consilium>conscilium).
Gli scempiamenti delle consonanti geminate e, per reazione, le presenze di falsi raddoppiamenti sono bene documentati, in particolare a carico delle liquide e nei testi di origine Nord-italiana (Es.: elegantia>ellegantia;  immo>imo).

3. Uso di h
Dalla grammatica medievale la lettera h non era considerata una lettera dell'alfabeto ma una 'nota aspirationis', la cui omissione, pur essendo un errore, non alterava la comprensibilità ed il significato della parola. H, soprattutto in posizione iniziale, scompare sovente (Es.: hortus>ortus; habentem>abentem; exhortatio>exortatio) e, per reazione, viene introdotta in parole che non la richiedono (Es.: ostium>hostium; inertia>hinertia; superabundare>superhabundare; onus>honus); h è sovente omessa nei gruppi ch, th, e, meno, ph (Es.: charta>carta; thesaurus>tesaurus; sphaera>spera) o aggiunta per ipercorrettismo: (Es.: caritas>charitas; Cato>Chato; Telephus>Thelephus).

4. Michi, nichil
Pressoché generalizzate e riconosciute norma le grafie michi, nichil che sostituiscono mihi e nihil.

5. Aspetti particolari
Problemi particolari sono dati dalla riduzione ad unica parola di forme che ‘normalmente’ rispondono a due unità grafiche distinte, come isto modo>istomodo.
Al contrario, s’incontrano sovente scritte con due parole distinte forme ‘normalmente’ uniche: Es.: cuiuslibet>cuius libet.
Da segnalarsi infine qualche caso di metatesi: Es. stuprum>strupum; fulmina>flumina.


Torna all'inizio